La festa veneziana dell’evangelista San Marco, patrono della Repubblica, è il 25 aprile.

Cadendo all’inizio della primavera e alla ricorrenza della Pasqua, la festa era diventata anche simbolo della rinascita della natura e dell’uomo, dopo il lungo e grigio periodo dell’inverno.

Logico quindi che assumesse una solennità particolare per il Serenissimo Doge, il quale, rappresentante la maestà della antichissima repubblica, raccoglieva intorno a se, in quel fausto giorno, i procuratori di San Marco, i patrizi del Maggior Consiglio, gli uomini d’arme amministratori dello Stato, le personalità delle ambasciate straniere, in un grande convito in palazzo Ducale, nella fastosa sala dei banchetti addobbata per la circostanza.

Un rito solenne, un pranzo onorato da cibi ricercati, e vini sopraffini, ma anche di una certa semplicità, in quanto il banchetto si imperniava sulla tradizionale minestra veneziana dei «risi e bisi», il riso con i primi piselli della primavera.

«Ogni riso un biso», dice il detto popolare, riassumendo in poche parole la ricetta di questo pilastro della cucina veneta.

I piccoli e dolci piselli che occorrevano venivano in genere raccolti a Lumignano, nel Vicentino, e a Borso del Grappa, dove il tiepido clima collinare e il sole primaverile riuscivano a farli maturare prima degli ottimi piselli dell’Estuario.

Qualche volta, i «bisi», dei quali, come si capisce dal detto ne occorrevano molti, non erano maturi per la ricorrenza.

Pur di non rinunciare alla tradizione, la Serenissima organizzava una carovana che faceva arrivare i piselli dalla Liguria, dove l’inverno e tanto più corto e mite e la primavera ben più calda e precoce.

I “bisi”, raccolti a San Cipriano, sulle alture di Genova verso i Giovi, o nella piana di Albenga e a San Remo, viaggiavano in convogli di carriaggi per mezza Italia, e arrivavano in meno di una settimana a Mestre per venire poi imbarcati alla volta di Venezia.

In un modo o nell’altro, i piselli per il pranzo del Doge nel giorno di San Marco non potevano assolutamente mancare.

Naturalmente, con la minestra il Doge faceva servire ai commensali anche i pesci più ricercati dell’Adriatico e delle acque dei fiumi veneti, preparati da una fitta schiera di cuochi.

Gli ortaggi migliori e la frutta più bella di stagione, dolci di vari tipi, confetture squisite, accompagnati da scelte malvasie, vini resinati di Grecia e con il “vindi Cipro”, più simile ad un liquore che a una bevanda da tavola.

Testi tratti da: “CUCINA VENETO”